HEYSEL — I 10 secondi più lunghi della mia vita

Alberto Scotta 'Panoz'
4 min readSep 27, 2015

29/05/2015

E’ il 29 maggio 1985 non lo so ancora, ma non resterà una data qualunque.

Io e mamma siamo seduti a tavola da amici e l’attesa per la finale di Coppa Campioni sta crescendo, non ho portato troppe bandiere e sciarpe, memore di com’era finita 2 anni prima, stavolta ho deciso che, se si vincerà, ci sarà tempo per preparare la festa.

La televisione è distante e a un certo punto sentiamo il tono di Pizzul, che cambia, ci alziamo e cominciamo a vedere scorrere immagini di guerriglia, transenne improvvisate da barelle, gente ferita, sangue…

Mamma ad ogni immagine dice: “quello è papà”… e io nel mio perenne ottimismo la tranquillizzo.

Già, papà stavolta ha fatto come a Basilea, e non come ad Atene. Papà c’è, papà di finali non ne ha mai viste perdere, ha trovato un volo all’ultimo, perché qualcuno ha rinunciato e si è imbarcato per Bruxelles.

Ho l’incoscienza di un tredicenne, di un ragazzino ottimista e solare che mi porterò dietro per tutta la vita e ogni volta che mia mamma si preoccupa la rassicuro, papà non ha quelle scarpe, papà non ha quella camicia e poi papà, se è andato in aereo, avrà un biglietto di tribuna, distinti al massimo, di certo non è in curva.
Non so quanto serva a lei, ma sono sereno per lui e io quella partita voglio che si giochi.

Ricordo anche il pronostico di mio zio: 1–0: Boniek si invola verso la porta, lo stendono, rigore e Platini lo realizza. Finirà esattamente così, ma di quei 90 minuti giocati dopo 30 anni non mi resta nulla.

Abbiamo vinto la Coppa e lo ammetto, sono felice, incoscientemente felice, ho 13 anni, ho un padre che è lì in quello stadio, dove forse ci sono dei morti, ma io quella Coppa l’ho sognata per troppo tempo e per qualche minuto festeggio e comprendo le macchine che sfilano in città e i giocatori che la alzano al cielo, è una vittoria sportiva, in quel momento è solo quello.

Negli anni ho imparato a non giudicare mai come le persone gestiscono le loro situazioni emozionali, tantomeno come possono reagire a tragedie che le toccano più o meno da vicino, io già a 13 anni ero molto pragmatico e il mio cervello funzionava e funziona chiedendosi se davvero uno stato di mestizia costruita giova a qualcuno, quindi rifiuto il crogiolarmi nel dolore, ho l’idea che ogni situazione si possa risolvere comunque bene e che ci sia sempre una soluzione a tutto… a tutto tranne la morte.

Ma mio padre non è morto a Bruxelles, lo so.

Proviamo a chiamare il nostro amico colonnello dei Carabinieri, perché i numeri della Farnesina sono intasati, ma non si sa nulla, si deve aspettare, perché i cellulari, whatsapp e skype non esistono e le comunicazioni sono tutt’altra cosa.

Mia mamma decide di tornare a casa e l’accompagna Silvana la sua amica.
Mi mettono a letto verso mezzanotte, l’adrenalina è ormai svanita e il clima è sicuramente più cupo, ma appoggio la testa sul cuscino convinto che mio padre sia vivo.

Ore 2:30. Sono i 10 secondi più lunghi della mia vita, ricordo tutto perfettamente e ricordo anche la scena che non ho visto, ma solo ascoltato.

Squilla il telefono 1, 2 volte e mia mamma urla “ci siamo…” sento i passi verso il telefono e la sento bloccarsi, la immagino voltarsi verso l’amica e la ascolto:”…e se mi dicessero che è morto…???”

Ecco in quel momento anche io nel mio letto non ho più nessuna certezza, il cuore che palpita impazzito.

Prego e attendo cercando di scoprire dal tono di voce quale sarà la risposta.

“Si, sono io”, decimi di secondo interminabili, “oh grazie a Dio…..”, “ ma quindi sta bene???”

Non mi importa più nulla di nulla, né della coppa, né di ascoltare il seguito.

Mio padre è vivo e sta bene e tornerà a casa.

Lui sì, lui è tornato, lo sapevo.

Il mattino dopo, all’esame di terza media faccio forse il tema più bello della mia vita sull’Heysel e all’uscita da scuola c’è il regalo più grande, mio papà da riabbracciare.

Io sono stato fortunato, altre 39 famiglie no, e se anche solo un tifoso avversario, leggendo il mio racconto, da domani smettesse di fare ironia su questa strage di innocenti, ne sarebbe valsa la pena.

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